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La Direttiva Comunitaria sul contrasto alla violenza di genere e domestica

Il Parlamento ed il Consiglio Europeo hanno approvato, nello scorso febbraio, in via definitiva, una Direttiva Comunitaria sul contrasto alla violenza di genere e domestica.

Il segnale del legislatore è molto forte nonchè essenziale nell’ottica di dare il corretto e fondato valore al perpetuarsi di reati di massima gravità sinora ignorati o trattati con pressapochismo: siamo di fronte al primo testo legislativo organico volto alla repressione definitiva dei reati di questo tipo.
Viene considerato reato penale perseguibile in tutta l’Unione Europea (con pene da 1 a 5 anni) le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati, la condivisione non consensuale di immagini intime, lo stalking e le molestie on line, istigazione alla violenza e all’odio on line.

Vengono altresì messe in atto misure preventive nell’ottica di costruire un futuro più sicuro non solo per le vittime ma anche per i soggetti che potenzialmente lo possono diventare e per gli attori attivi dei reati.
Gli Stati Membri avranno tre anni di tempo per recepire la Direttiva nel loro comparto legislativo nazionale.
Pur riconoscendo l’importanza di tale Direttiva di matrice comunitaria, che avrà certamente un enorme impatto sulla vita delle donne sia oggi che in futuro, sono state riscontrate alcune criticità: a titolo esemplificativo e non esaustivo, il Forum Europeo della Disabilità, ritenendo che il provvedimento avrebbe  dovuto essere ancora più ambizioso, ha ravvisato l’omissione del divieto della sterilizzazione forzata delle persone con disabilità, una violenza pervasiva dei diritti umani che è attualmente considerata reato in appena nove paesi dell’UE (Irlanda, Belgio, Francia, Spagna, Svezia, Germania, Italia, Slovenia e Polonia).

Altra criticità al centro del dibattito è la criminalizzazione dello stupro e il tema del consenso: in molti Stati europei (tra cui l’Italia), infatti, lo stupro è punito solo quando è dimostrato che ci sia stata una violenza, una coercizione o una minaccia, non basta che l’atto sessuale sia avvenuto in mancanza di consenso. Da qui deriva la definizione di stupro come “rapporto sessuale senza consenso” inclusa inizialmente nella Direttiva: il riferimento era alla Convenzione di Istanbul del 2011, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere. La Convenzione di Istanbul identifica lo stupro come un “rapporto sessuale realizzato senza consenso” specificando poi che “il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona”.

Si è ritenuto quindi che la Direttiva comunitaria, con l’eliminazione dell’articolo 5 del testo originario – quello più controverso – che conteneva la definizione di stupro come “rapporto sessuale senza consenso” è stata quindi fortemente depotenziata. Solo grazie ad una riflessione sul consenso della vittima, per così dire mutando il paradigma, si potrebbe riuscire ad agire sugli stereotipi di genere che troppo spesso hanno portato ad un rovesciamento dei ruoli anche nelle aule dei tribunali, ove le donne che denunciano violenze sono sottoposte alla cosiddetta vittimizzazione secondaria.

Da ultimo, è certamente lodevole aver inserito tra i reati la mutilazione genitale femminile tuttavia tali pratiche sono diffuse prevalentemente nei paesi africani (partendo dalle percentuali più alte, Somalia, Guinea, Sierra Leone, Mali, Egitto, Sudan, Eritrea e così via) in quanto sono radicate nelle culture delle comunità che le praticano. Per poter debellare le FGM bisognerebbe agire a livello culturale, con iniziative d’informazione e sensibilizzazione sul tema, come peraltro già fanno numerose Fondazioni operanti in Europa.

Avv. Michela Ferrara

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