Lidia Poët, nata il 26 agosto 1855 a Traverse, oggi una frazione di Perrero (TO) fu la prima donna italiana a entrare nell’Ordine degli Avvocati, oltre che fra gli ideatori del moderno diritto penitenziario.
Lidia Poët fu ammessa all’esercizio dell’avvocatura il 9 agosto 1883 e, come vediamo a breve, il suo percorso professionale fu tutt’altro che facile.
Lidia Poët dopo aver ottenuto la laurea in giurisprudenza e superato l’esame di abilitazione, secondo i requisiti previsti dalla legge n. 1938 del 1874 chiese l’abilitazione alla professione forense.
Dopo un’ampia discussione il Consiglio dell’Ordine di Torino, con una decisione storica per l’epoca, accolse a maggioranza la richiesta.
La decisione destò sia sostegno che scalpore, accendendo fervidi dibattiti che varcarono anche i confini italiani.
Il Procuratore Generale del Re impugnò il decreto d’iscrizione e dopo diverse vicende giudiziarie la Corte di Cassazione con la sentenza del 18 aprile 1884, rigettò il ricorso degli avvocati di Lidia Poët, che fu radiata.
Solo nel 1920, con l’abolizione dell’autorizzazione maritale, Lidia Poët poté iscriversi all’Albo degli Avvocati, diventando la prima avvocata in Italia.
Tra il 1884, anno della sua radiazione e il 1920, Lidia Poët fu molto attiva in campo legale, sociale e penitenziario, ricevendo anche onorificenze internazionali.
Storia di Lidia Poët
Lidia Poët nacque il 26 agosto 1855 da un’agiata famiglia valdese, poi da adolescente si trasferì a Pinerolo dove il fratello maggiore Giovanni Enrico aveva uno studio legale.
Frequentò prima il “Collegio delle Signorine di Bonneville” in Svizzera, poi nel 1871 conseguì la patente di Maestra Superiore Normale e tre anni dopo quella di Maestra di inglese, francese e tedesco.
Nel 1877 conseguì la licenza liceale presso il liceo Giovanni Battista Beccaria di Mondovì (CN) e l’anno successivo si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza.
Il 17 giugno 1881 Lidia Poët conseguì la laurea, discutendo una tesi sul diritto di voto per le donne e la condizione femminile dell’epoca e lei stessa scrisse: “Quando il preside annunziò che io era laureata dottoressa in leggi a pieni voti, scoppiò una selva di applausi.
Quando volli uscire, i giovani mi fecero ala continuando a battere le mani.
Io era come smarrita fra tanta gente e avanzai ad occhi chiusi.
Fortuna volle che il senatore Bertea mi prese la mano e, commosso anche lui, rivolse agli studenti calde parole di ringraziamento in nome mio e di Pinerolo e in nome dell’umanità e della libertà.”
Nei due anni successivi fece pratica presso l’ufficio dell’avvocato e senatore pinerolese Cesare Bertea, assistendo anche alle sessioni dei tribunali.
Cesare Bertea
Dopo il praticantato Lidia Poët superò l’esame di abilitazione forense con il voto di 45/50, poi presentò l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino.
La richiesta fu prima messa ai voti e infine accolta, precisando che a norma delle leggi civili italiane le donne sono cittadini come gli uomini.
Tra i favorevoli figurava il presidente dell’Ordine, tale Saverio Francesco Vegezzi.
Tra i contrari figuravano gli avvocati Federico Spantigati e Desiderato Chiaves, ex Ministro dell’Interno dal 1865 al 1866, i quali per protesta si dimisero dall’ordine.
Il 9 agosto 1883 Lidia Poët divenne la prima donna italiana ammessa all’esercizio dell’avvocatura, tuttavia l’ammissione di Lidia Poët venne impugnata dal Procuratore Generale del Re, che ricorse alla Corte di Appello di Torino.
La richiesta venne accolta e l’11 novembre 1883 fu ordinata la cancellazione di Lidia Poët dall’albo professionale.
Il 28 novembre la Poët presentò ricorso alla Corte di Cassazione che tuttavia, con la sentenza del 18 aprile 1884 confermò la decisione della Corte d’Appello.
Venne dichiarato che la professione forense doveva essere qualificata come “ufficio pubblico” e questo comportava l’ovvia esclusione della Poët, poiché l’ammissione delle donne ai pubblici uffici doveva essere esplicitamente prevista dalla legge.
All’epoca le donne, non godendo degli stessi diritti degli uomini, a livello giuridico non potevano essere testi per processi dello stato civile o testimoni per un testamento.
Quindi permettere a una donna di svolgere la professione forense poteva essere lesivo per i clienti, poiché avrebbero avuto un avvocato che, in quanto donna era priva di facoltà giuridiche.
Inoltre vi furono anche considerazioni lessicali, ovvero la legge sull’avvocatura di stato del 1938 era da intendersi solo per il genere maschile, con l’utilizzo del termine di avvocato e mai di avvocata.
Infine fu sentenziato che “nella razza umana, esistono diversità e disuguaglianze naturali, dunque non si può chiedere al legislatore di rimuovere anche le differenze naturali insite nel genere umano”.
In realtà la sentenza conteneva anche argomentazioni frutto di stereotipi.
Le donne non potevano essere avvocate poiché era inopportuno che discutessero di argomenti imbarazzanti per “fanciulle oneste”.
Le donne avrebbero potuto indurre i giudici a favorire “un’avvocata leggiadra” o che indossassero la toga sui loro abiti, ritenuti tipicamente “strani e bizzarri.”
Infine l’esclusione di Lidia Poët fu giustificata anche per l’indole del sesso femminile, come la cagionevolezza fisica, oltre alle non adeguate forze intellettuali e morali come severità, fermezza e costanza che avrebbero impedito alle donne di occuparsi di affari pubblici.
In ogni caso, la cancellazione dall’albo di Lidia Poët accese un forte dibattito sia in Italia che all’estero.
Per ciò che concerne la stampa italiana dell’epoca, ben 25 quotidiani sostennero che le donne potevano tenere ruoli pubblici, mentre solo tre furono contrari.
Il 4 dicembre 1883 il Corriere della Sera pubblicò un’intervista nella quale Lidia Poët, oltre a commentare la sentenza, ripercorse la sua carriera studentesca, ricordando l’accoglienza benevola dei suoi compagni e di come alla sua seduta di laurea fossero presenti oltre 500 studenti.
Fra le voci a favore figurò quella del noto avvocato torinese Santoni De Sio, che nel 1884 pubblicò il saggio dal titolo “La donna e l’avvocatura”, nel quale analizzava la vicenda di Lidia Poët.
L’avvocato Santoni De Sio, avendo studiato l’attività delle donne nella magistratura nordamericana, si schierò a favore di tale direzione anche nell’ordinamento italiano.
Era previsto anche un secondo volume dell’avvocato Santoni De Sio, tuttavia l’autore mori prematuramente.
Oggi l’originale del saggio è conservato presso la Biblioteca Alliaudi di Pinerolo.
Anche l’Ordine degli Avvocati di Venezia prese posizione, invitando la classe politica a porre fine alla discriminazione femminile, chiedendo una modifica del codice e della legislazione per dare alle donne gli stessi diritti degli uomini.
Nonostante la radiazione Lidia Poët non si arrese, continuò l’attività legale senza patrocinare nei tribunali, collaborò con il fratello Giovanni Enrico (avvocato) e fu attiva soprattutto nella difesa dei diritti di donne, minori ed emarginati.
Lapide commemorativa nei giardini davanti al Palazzo di Giustizia di Torino – licensed under CC BY-SA 4.0
L’attività di Lidia Poët in campo internazionale.
Nel XIX secolo, attraverso i Congressi Penitenziari Internazionali iniziò il dibattito sulla funzione della pena, dove giuristi di diverse nazioni si confrontavano anche sul recupero sociale dell’individuo.
Lidia Poët partecipò ai Congressi ricoprendo ruoli di rilievo per oltre 30 anni, inoltre come membro del segretariato promosse l’istituzione dei tribunali dei minori e il tema della riabilitazione dei detenuti attraverso educazione e lavoro.
Infatti il moderno sistema penitenziario è in parte frutto di quei congressi, dove anche grazie alla partecipazione di Lidia Poët, fu possibile andare oltre l’idea di trattamento meramente punitivo a favore di quello rieducativo.
Ad eccezione di quello di Washington del 1910, Lidia Poët partecipò a tutti i Congressi Penitenziari Internazionali tenutisi dal 1885 al 1925, ovvero:
- Roma 1885
- San Pietroburgo 1890
- Parigi 1895
- Bruxelles 1900
- Budapest 1905
- Londra 1925
Nel 1895, per i lavori svolti nel Congresso di Parigi, l’allora Presidente della Repubblica Francese Félix Faure le conferì il riconoscimento d’Official de Accademie.
Lidia Poët fu attiva anche nel mondo femminile, aderendo al Consiglio Nazionale delle Donne Italiane sin dalla sua fondazione nel 1903, dirigendo la sezione giuridica nei congressi femminili italiani del 1908 e 1914.
Negli atti congressuali del 1914 emersero temi come:
- l’ammissione delle donne alle funzioni di tutori
- l’assistenza immediata a minori abbandonati o i cui genitori sono in carcere o in ospedale
- il divieto di presenza dei minori nelle udienze penali di tribunali e corti di giustizia
- la vigilanza del magistrato e il patrocinio scolastico per la protezione fisica e morale dei minori
- la regolamentazione del lavoro minorile, sia l’aumento dei limiti di età che la riduzione dell’orario lavorativo, non superiore alle otto ore giornaliere per i ragazzi sotto i 16 anni e per le ragazze sotto i 21 anni.
Alcuni di questi temi trovarono spazio nell’ordinamento italiano solo diversi decenni dopo.
Terminata la prima guerra mondiale, la legge 1179 del 17 luglio 1919, conosciuta come legge Sacchi abolì l’autorizzazione maritale permettendo alle donne di entrare nei pubblici uffici, ad esclusione di politica, magistratura e di tutti i ruoli militari.
Nota: l’autorizzazione maritale imponeva alle donne l’autorizzazione del capofamiglia, quindi l’uomo per comparire in giudizio e compiere atti di disposizione patrimoniale come contrarre mutui, ipotecare, donare, alienare beni immobili e via dicendo.
Nel 1920, all’età di 65 anni Lidia Poët fu la prima donna italiana ad entrare nell’Ordine degli avvocati.
Due anni dopo, nel 1922 divenne presidente del Comitato pro voto donne di Torino.
Lidia Poët si spense il 25 febbraio a Diano Marina (IM), all’età di 94 anni e fu sepolta presso il cimitero di San Martino, frazione del comune di Perrero.
A lei sono dedicate due vie, rispettivamente a Livorno e San Giovanni Rotondo (FG), oltre alla scuola Secondaria di Primo Grado di Pinerolo e quella media di Frossasco, ambedue in provincia di Torino.
Il 28 luglio 2021, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino ha dedicato a Lidia Poët un cippo commemorativo, nei giardini davanti al Palazzo di Giustizia torinese.