Scopriamo insieme la storia della scuola italiana, partendo dal medioevo fino ai
giorni nostri.
Come vediamo a breve, conoscere la storia della scuola italiana ci aiuta a
comprendere sia la nostra cultura che le nostre tradizioni.
Inoltre conoscere la storia della scuola italiana ci permette di comprendere che,
l’istruzione che oggi diamo per scontata in passato non lo era affatto, e di
come grazie a insegnanti, docenti e persone illuminate oggi l’istruzione sia un
diritto per tutti.
La scuola italiana è spesso soggetta a critiche, noi di Dare Voce al Silenzio non
sappiamo dove stia la ragione o il torto, possiamo solo condividere la nostra
esperienza come formatori.
In questi anni abbiamo incontrato insegnanti, presidi e personale scolastico
che, nonostante le difficoltà della scuola italiana, nella stragrande maggioranza
dei casi operano con dedizione a favore di bambini e ragazzi.
In qualsiasi caso la scuola resta quello che è, il cuore di un popolo poiché
conserva il passato, basilare per sapere chi siamo nel presente e quindi,
essenziale per dare una direzione al futuro.
Nella scuola la figura cardine è l’insegnante, poiché oltre a trasmettere
conoscenza oggi deve anche accogliere e gestire situazioni difficili, in alcuni
casi estreme.
Al di là delle critiche, che ognuno giustamente può esprimere, il mestiere
dell’insegnante rimane quello che è, ovvero un mestiere tanto nobile quanto
essenziale, poiché forma le nuove generazioni.
Ora, per comprendere cos’è la scuola italiana oggi e la sua importanza nella
società, è essenziale conoscerne l’evoluzione nel corso dei secoli.
Partiamo dal medioevo.
Con la fine dell’impero romano le istituzioni scolastiche pubbliche cessarono di
esistere e nel medioevo la scolarizzazione era fornita dalla Chiesa.
Vi erano tre tipi di scuole, aperte anche ai laici:
- parrocchiali – alfabetizzazione di base
- vescovili – istruzione sia basica che medio superiore
- monastiche – istruzione di base, medio superiore e universitaria
Le scuole parrocchiali esistevano fin dal VI secolo, offrivano un’istruzione di
base tuttavia erano inaccessibili per buona parte delle famiglie, poiché non
potevano rinunciare al lavoro dei figli, anche se giovanissimi.
Infatti all’epoca buona parte della popolazione europea era pressoché
analfabeta.
Le scuole vescovili, aperte anche ai laici, erano dedicate alla formazione del
clero.
Le scuole più importanti erano quelle monastiche, le prime furono fondate dai
monaci irlandesi introducendo le biblioteche con i codici di pergamena.
Nelle scuole monastiche si imparava a leggere, scrivere e fare i conti, poi era
possibile proseguire gli studi in diversi ambiti come, logica, astronomia,
medicina, farmacologia, erboristeria, musica e via dicendo.
Le scuole monastiche furono la base della rinascita della filosofia scolastica,
immediatamente precedenti alle Università medievali.
Nel medioevo il livello di istruzione era molto basso, anche fra i nobili, infatti
alcuni di essi assumevano precettori privati per l’istruzione dei figli.
Dopo l’anno 1.000 nacquero scuole private tenute da maestri liberi, poi fra il
XII e XIII secolo la scuola italiana iniziò a cambiare radicalmente.
Le scuole parrocchiali sparirono, dell’insegnamento superiore se ne occuparono
soprattutto i benedettini affiancati da altri ordini religiosi, come i dominicani.
Gli stati divennero più sensibili verso l’istruzione, si svilupparono scuole laiche
a tre livelli, simili alle attuali primarie, secondarie e universitarie.
Nacquero numerose scuole laiche di insegnamento elementare, sia private che
comunali dove operava un solo maestro.
Nelle scuole private il maestro veniva pagato con le quote versate dagli alunni,
in quelle finanziate dal comune integrava lo stipendio con le quote degli
studenti.
Il maestro insegnava anche a 100 o 150 alunni, quando il numero era ritenuto
eccessivo il comune obbligava il maestro ad assumere un assistente, detto
ripetitore, al quale versava parte dei suoi proventi.
Nel XIII secolo nacquero le scuole laiche secondarie per studenti già
alfabetizzati ed erano principalmente di due tipi:
- grammatica, basate sullo studio della lingua latina, di autori classici e
medievali - d’abaco, rivolte alle tecniche di calcolo con le cifre arabe e alla
matematica mercantile
Una scuola non precludeva l’altra, ad esempio lo storico, scrittore e diplomatico
italiano Niccolò Machiavelli frequentò sia la scuola d’abaco che quella di
grammatica.
In seguito nacquero altri tipi di scuole, come quelle di giurisprudenza.
Nel XI secolo nacquero le università, famosa è quella di Bologna fondata nel
1088 che, secondo diverse fonti, è l’università più antica del mondo.
Verso la fine del 1200 le scuole religiose persero di importanza, rimasero
essenziali solo per la formazione del clero.
Nel rinascimento la scuola italiana rimase quasi invariata, quelle ecclesiastiche
formavano il clero, mentre quelle laiche, private e comunali dopo un primo
livello elementare si dividevano in istruzione d’abaco e di grammatica.
Invece il numero di scuole aumentò notevolmente, come il numero di ragazzi
alfabetizzati mentre fra le ragazze l’alfabetizzazione era estremamente bassa.
Nel 1500 nacquero le prima scuole comunali gratuite, poi quelle umanistiche,
di livello superiore rispetto a quelle di grammatica.
Verso la fine del 1400 i religiosi istituirono scuole di dottrina cristiana operanti
la domenica o nei giorni festivi, dove insegnando il catechismo ai ragazzi,
contribuirono anche alla riduzione dell’analfabetismo.
Dopo la Controriforma del 1545 nacquero scuole gestite da diversi ordini
religiosi, come i gesuiti che alla fine del 1600 contavano 111 collegi aperti.
I gesuiti inizialmente insegnavano anche a leggere e scrivere, poi abolirono
l’insegnamento elementare nei collegi diventando istituzioni rivolte ai ragazzi
dei ceti medi o superiori, quindi già alfabetizzati, fornendo un’istruzione di alto
livello.
Altri ordini religiosi istruirono i ragazzi dei ceti popolari, in particolare le Scuole
Pie fondate da Giuseppe Calasanzio, dove dopo aver assorbito l’istruzione di
base e l’aritmetica si potevano proseguire gli studi oppure iniziare a lavorare.
Poi nelle Scuole pie di Calasanzio vennero introdotti studi più avanti, tuttavia
senza rinunciare all’insegnamento di base.
Nel 1600 i religiosi riacquistarono un ruolo predominante nella scuola italiana e
nello stesso periodo, la veneta Elena Lucrezia Cornaro divenne la prima donna
laureata al mondo.
Nel 1700 nacquero numerose scuole pubbliche controllate dallo stato e il primo
ad inaugurare questa nuova politica scolastica fu il Regno di Sardegna.
Vittorio Amedeo II di Savoia dal 1717 al 1727 istituì diverse scuole statali di
vario grado, dove un apposito Magistrato vigilava sulle possibili ingerenze degli
ordini religiosi.
Nella seconda metà del 1700 i Gesuiti vennero espulsi da diversi stati, poi la
bolla papale del 1773 ne soppresse l’ordine, trasformando radicalmente la
scuola italiana.
Tuttavia i gesuiti vennero spesso sostituiti da altri ordini religiosi, poiché era
difficile trovare un adeguato numero di insegnanti laici.
In Europa la riforma scolastica più importante fu varata nel 1774 da Maria
Teresa d’Austria, rendendo obbligatoria la scuola per i bambini dai 6 ai 12 anni,
oltra ad istituire scuole per la preparazione dei maestri.
La stessa riforma fu parzialmente attuata in Lombardia, dove nel 1788 nacque
la prima scuola pubblica per la preparazione dei maestri.
Nello Stato Pontificio invece, l’istruzione rimase agli ordini religiosi.
Nel Regno di Napoli la scuola era in buona parte gestita dai religiosi, anche se
Carlo III e suo figlio Ferdinando organizzarono la prima istruzione pubblica del
Regno.
Nel 1769 per volere del re Carlo Emanuele III di Savoia, venne inaugurata la
Scuola Veterinaria di Torino, la prima in Italia e la quarta nel mondo.
Dopo la Rivoluzione francese la scuola venne concepita come pubblica, gratuita
e obbligatoria, e tutti i cittadini, sia maschi che femmine dovevano
frequentarla.
Venne bandito qualsiasi insegnamento religioso, basandosi sulla trasmissione
di capacità professionali, metodi razionali, contenuti verificabili oltre che sulla
formazione civile.
Nel tempo la scuola si evolse in 4 livelli di istruzione ovvero elementare, medio
inferiore, medio superiore e universitario.
Nel livello medio superiore nacquero anche i licei.
Nelle repubbliche giacobine italiane e nel Regno di Napoli, durante il periodo
napoleonico ci cercò di modellare la scuola italiana sul modello francese.
Infatti il generale francese Gioacchino Murat, re di Napoli e maresciallo
dell’Impero con Napoleone Bonaparte, nel 1810 decretò la scuola primaria
come obbligatoria.
Con la legge del 1804 nacquero i primi licei su modello francese, affiancandoli
ai ginnasi di modello austriaco, poi con il Piano d’istruzione generale del 1808
si decise di creare un liceo in ogni capoluogo e un ginnasio in ogni comune con
più di 10.000 abitanti.
Nella prima metà del 1800, dopo la Restaurazione, le innovazioni scolastiche
rallentarono e in parte, furono anche abbandonate.
Nello stesso periodo numerosi educatori e pedagogisti lavorarono a favore di
una scuola italiana più moderna.
Nel 1818, nel regno Lombardo-Veneto all’epoca sotto dominazione austriaca,
nacque il Regolamento normale per le scuole elementari pubbliche, mentre nel
Regno di Sardegna furono emanate due leggi apposite nel 1848 e nel 1857.
Nello Stato Pontificio vigevano ancora le regole dei Gesuiti, tuttavia il lavoro
del pedagogista Vitale Rosi pose le basi per una scuola italiana più moderna.
Nel 1844 il pedagogista mantovano Ferrante Aporti fu chiamato a Torino da
Carlo Alberto di Savoia per tenere il primo corso di “Metodo per gli insegnanti
elementari” presso l’Università di Torino.
Nello stesso periodo Ferrante Aporti aprì il primo istituto tecnico agrario a San
Martino dall’Argine, in provincia di Mantova.
Ferrante Aporti è stato uno dei personaggi importanti nella storia della scuola
italiana.
Nel 1830 Aporti fondò la prima scuola infantile gratuita nel Regno del
Lombardo-Veneto, poi l’iniziativa si diffuse anche Emilia, Romagna e Toscana.
Inoltre promosse scuole per ciechi, sordomuti e orfani del colera.
Dopo la nascita del Regno d’Italia nel 1861, la scuola italiana presentava
profonde differenze fra i vari territori.
Nel 1859 nel Regno di Sardegna fu approvata la legge Casati, articolando la
scuola elementare in due bienni, il primo obbligatorio.
Poi vi erano le scuole tecniche ed il ginnasio a pagamento.
Anche le scuole tecniche permettevano di proseguire gli studi, in alcuni casi
fino all’università, tuttavia il sistema scolastico era classista, quindi i figli delle
famiglie meno agiate spesso rinunciavano agli studi.
Questo si rifletteva su tutto il territorio italiano, estremamente variegato e con
esigenze diverse, infatti molte famiglie dovendo far lavorare i figli nei campi,
anche se in giovanissima età, rinunciavano all’istruzione.
Comunque nel 1871 attraverso un censimento emerse una diminuzione
dell’analfabetismo in tutte le regioni italiane, sia nei maschi che nelle femmine.
La legge Coppino del 1877 allungò la durata delle elementari a 5 anni
introducendo l’obbligo scolastico nel primo triennio, definendo anche sanzioni
per i genitori inadempienti.
All’inizio del Novecento emersero i primi effetti positivi del sistema scolastico
italiano.
La legge Orlando del 1904 prolungò l’obbligo scolastico fino ai 12 anni, inoltre
impose ai comuni di istituire delle scuole almeno fino alla quarta elementare,
oltre ad assistere gli alunni più poveri.
Vittorio Emanuele Orlando 1860 – 1952
In seguito alla legge Orlando vennero stipulati nuovi programmi scolastici per
sostituire quelli del 1894, ritenuti conservatori, verso una scuola italiana votata
all’utilitarismo e all’operatività.
Nel primo ventennio del 1900 attorno alla scuola italiana si accese un forte
dibattito.
I progressisti volevano separare la scuola italiana dall’amministrazione locale,
per evitare clientelismo e mancanza di fondi, invece molti amministratori locali
e il mondo cattolico temevano che la scuola italiana potesse laicizzarsi del
tutto.
Nel 1911 fu votata la legge Daneo-Credaro, durante il ministero Giolitti, dove
la scuola elementare fino ad allora gestita dai comuni, divenne statale.
Lo stipendio dei maestri fu a carico dello Stato, per meglio disciplinare l’obbligo
anche in realtà locali disagiate.
Tuttavia la legge Daneo-Credaro oltre ad essere mancante verso il
Mezzogiorno, che non disponeva dello stesso numero di insegnanti del Nord
Italia, fu frenata dallo scoppio della prima guerra mondiale.
La riforma Gentile del 1923 portò l’obbligo di studio ai 14 anni di età, con 5
anni di scuola elementare seguita dalla media inferiore, e poi dalla scuola
media superiore con diversi indirizzi.
La scuola media aveva un sistema binario, da un lato coloro che si
impegnavano a proseguire gli studi, dall’altro al termine dei tre anni, coloro
che invece venivano introdotti nel mondo del lavoro.
Nel 1928 fu istituita la Scuola di avviamento professionale, sostituendo i corsi
post elementari e la scuola complementare.
1934 – Scuola di avviamento professionale dell’azienda Ercole Marelli
La legge del 1940 fece nascere la scuola media triennale, unificando i corsi
inferiori di istituti tecnici, magistrali e Licei, lasciando un secondo canale per la
Scuola di Avviamento professionale.
Nel 1945 terminò la seconda guerra mondiale e questo, è un passaggio
importante.
Già nel 1943 in Sicilia, il governo alleato revisionava i programmi scolastici con
una commissione guidata dal pedagogista americano Carleton Washburne.
Il governo alleato voleva riformare la scuola elementare, la più influenzata dal
regime fascista, tuttavia l’impostazione del pedagogista Washburne
prevedendo aperture pluriconfessionali, incontrò l’opposizione dei cattolici.
Così la commissione fu affiancata da un rappresentante della Chiesa e il
risultato furono dei programmi scolastici di compromesso.
Nella costituzione italiana del 1948 viene stabilito che l’istruzione è pubblica,
gratuita e obbligatoria per almeno 8 anni.
Il sistema scolastico resta il precedente, scuola elementare di 5 anni ed i 3
anni successivi divisi in scuola media, che permetteva di proseguire gli studi
grazie alla materia del latino, mentre la “scuola di avviamento professionale”,
priva del latino, escludeva qualsiasi proseguimento di studi.
Sempre nel 1948 venne inaugurato il Consiglio superiore della pubblica
istruzione, con competenze che vanno dalla scuola primaria fino a quella
universitaria.
Nel 1962 venne abolita la scuola di Avviamento al lavoro, creando una sola
scuola media unificata che permise l’accesso a tutte le scuole superiori.
Nello stesso periodo aumentarono le classi miste, ovvero maschili e femminili,
il latino diventò facoltativo nell’ultimo anno delle medie, mentre restava
necessario per accedere al liceo.
Invece per accedere a istituti tecnici o professionali non era richiesta nessuna
materia specifica.
Nel 1968 fu istituita la scuola materna statale.
Nel 1969 venne liberalizzato l’accesso agli studi universitari, questo anche
sotto la spinta dei movimenti studenteschi dell’epoca, poiché prima per
accedere a tutte le facoltà era necessario il diploma di liceo classico.
Inoltre fu modificato l’esame di maturità con due prove scritte ed una orale, la
Commissione d’esami era composta da docenti esterni all’istituto, a parte uno
proveniente dal gruppo di insegnanti della classe.
Questa struttura fu definita sperimentale, quindi provvisoria, tuttavia vi rimase
per quasi 30 anni.
Negli anni ’70 la scuola italiana migliorò molto, tuttavia i tassi di evasione
scolastica erano ancora alti.
Nel 1974 furono approvati i “decreti delegati”, introducendo nella scuola
italiana una rappresentanza dei genitori, degli studenti (solo nella scuola
superiore) e del personale ATA (Amministrativo, Tecnico, Ausiliario).
Nelle elementari, a partire dalla legge 820/71 nacque la scuola a tempo pieno,
per rispondere ai bisogni sociali.
La legge Falcucci del 1977 introdusse il principio di integrazione, assegnando
insegnanti di sostegno alle classi che accoglievano alunni portatori di handicap.
Questo permise di adottare interventi individuali per le esigenze dei singoli
alunni.
Nel 1979 furono riformati i programmi della scuola media, abolendo il latino
come disciplina autonoma.
Negli anni ’80 e ’90 si discusse di alzare l’obbligo scolastico, tuttavia nulla si
concretizzò.
Nella scuola elementare, con i Programmi del 1985 e la legge del 1990 venne
introdotta la pluralità di docenti per la stessa classe.
Nel 1995 per opera dell’allora Ministro della pubblica istruzione Francesco
D’Onofrio, vennero eliminati gli esami di riparazione, tema che ancora oggi è
fonte di accese discussioni.
Nel 1997 venne riformato l’esame di maturità attraverso tre prove scritte ed
una orale, il punteggio passò dai sessantesimi ai centesimi, inoltre fu introdotto
il credito formativo.
La commissione era per metà di membri interni e metà esterni, più il
presidente.
Nel 2002 la finanziaria del governo, per motivi economici trasformò la
commissione per gli esami di stato da mista a tutta interna, con il solo
presidente esterno.
Nel 2006 il Ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni propose una
revisione degli esami di stato, l’ex esame di maturità, con un ritorno alle
commissioni miste e la non ammissione degli studenti con debiti formativi nel
triennio non saldati.
Nella finanziaria del 2007 l’obbligo scolastico fu portato a 16 anni, oltre a
reintrodurre i rimandi estivi al posto dei debiti formativi.
Nell’ottobre 2008 il Parlamento italiano convertì in legge il decreto proposto da
Mariastella Gelmini, l’allora ministro della pubblica istruzione.
Il decreto modificò il metodo di valutazione degli studenti di scuola primaria,
introdusse il voto con corrispondenza, oltre a quello della scuola secondaria di
primo grado, introducendo il voto assoluto.
Inoltre reintrodusse il maestro unico nella scuola elementare.
Su iniziativa del Governo Renzi, nel 2015 viene introdotta una nuova riforma
della scuola italiana, aumentando i poteri del dirigente scolastico.
Viene data la possibilità agli studenti di personalizzare parzialmente i piani di
studi, questo se previsto dalla scuola che frequentano, alternare attività
scolastiche e lavorative anche per istituti non tecnici e introducendo un sistema
di valutazione del personale docente.
Nel dicembre 2006 nell’esecutivo presieduto da Paolo Gentiloni la senatrice
Valeria Fedeli è nominata ministro della pubblica istruzione, proseguendo con
la riforma della “Buona Scuola”, attraverso l’emanazione di decreti attuativi
della delega prevista dalla legge n. 107/2015.
I decreti delegati sono stati poi approvati definitivamente in Consiglio dei
Ministri il 7 aprile 2017.
Come abbiamo visto, l’evoluzione della scuola italiana rispecchia sia la cultura
che l’economia del nostro paese.
La scuola è fondamentale, perché permette quel passaggio generazionale di
conoscenza, essenziale per la vita di un popolo.
Oggi la scuola italiana è spesso oggetto di critiche, anche feroci, che
coinvolgono istituzioni, scuole e anche insegnanti.
Noi di Dare Voce al Silenzio non sappiamo chi ha ragione o meno, possiamo
solo condividere la nostra esperienza nella scuola italiana come formatori.
In questi anni abbiamo visto insegnanti, presidi, personale scolastico che nella
stragrande maggioranza dei casi si applica con dedizione a favore di bambini e
ragazzi.
Questo nonostante le evidenti difficoltà della scuola italiana, come mancanza di
fondi, disagio giovanile e situazioni di violenza domestica.
Queste difficoltà ricadono soprattutto sui docenti, che nelle classi oltre ad
insegnare devono accogliere e gestire situazioni difficili, in alcuni casi anche
estreme.
La scuola italiana è forse l’istituzione che più di tutte rappresenta l’algoritmo
della nostra storia, una sorta di sintesi fra passato, presente e futuro.
La scuola italiana è il nostro più grande patrimonio, poiché conserva il passato,
basilare per sapere chi siamo nel presente e accompagna le nuove generazioni
verso il futuro.